Intervista a Viviana Giorgi per "Un amore di fine secolo"
Viviana Giorgi ci svela tutto (o quasi… non vorrete sapere già il finale!) sul suo nuovo romanzo, Un amore di fine secolo.
Dopo i contemporanei che hai pubblicato con Emma, sei approdata allo storico. Un ritorno al grande amore o una nuova scoperta?
Un ritorno al grande amore, sicuramente. Il mio primo romanzo (pubblicato credo nel 2010 a puntate sul mio blog) è stato un Regency, dopotutto; a quei tempi pensavo che, se da grande fossi riuscita a diventare una scrittrice di romance, avrei continuato a scrivere storici dal taglio brillante. Un po’ come una Julia Quinn de’ noantri, insomma, fatte le debite proporzioni tra me e la Quinn, che adoro. Invece è arrivato il gatto rosso che ha sconvolto i miei piani, e mi sono scoperta autrice di commedie romantiche contemporanee. Con i necessari scongiuri per il romanzo in uscita, e nonostante sia per me molto più complesso scrivere storici che non contemporanei, mi auguro di poter tornare di tanto in tanto al passato, ai due periodi che prediligo (anche come lettrice), il Regency e il tardo vittoriano, e di poter vestire la mia eroina con meravigliosi abiti lunghi e non solo in jeans.
E a proposito… parlaci della tua protagonista, Camille. Che cosa ha in comune con le altre donne dei tuoi romanzi? E che cosa ha in comune con te?
Camille Brontee è una donna di 25 anni (questo particolare purtroppo non ci accomuna), istruita e di nobili natali che, per coraggio o forse pura incoscienza, sbarca dall’Inghilterra a New York alla fine del XIX secolo. Non che abbia affrontato un lungo e pericoloso viaggio per mare senza avere un piano preciso in mente, ma il fatto è che, a poche ore dal suo arrivo a Ellis Island, il suo piano va in fumo lasciandola senza denaro e senza prospettive per il futuro. E cosa fa, si dispera? Be’, forse all’inizio è tentata dalle lacrime – chi non lo sarebbe? –, ma poi la sua forza d’animo e il desiderio di non soccombere al destino hanno la meglio sull’autocommiserazione, con la benedizione della dea fortuna, naturalmente. Camille ha molto in comune con le mie precedenti eroine, anche se più di cento anni la separano da loro. È indipendente, ha il dono dell’ironia, un carattere vivace e curioso e una pericolosa propensione a innamorarsi di uomini piuttosto tormentati, ma molto, molto affascinanti e, naturalmente, strafighi (se vuoi sognare, fallo alla grande, no? dico sempre). Cosa abbiamo in comune io e lei, oltre al fatto che entrambe amiamo scrivere? Una innata insofferenza nei confronti delle regole stupide e di coloro che si credono superiori agli altri per diritto di casta o di nascita, come si reputa la maggior parte degli uomini che Camille incontra sul suo cammino. Ricordo che la storia si svolge alla fine dell’Ottocento e, anche se le suffragette cominciano a urlare i loro slogan e molte donne già lavorano, il mondo del potere e del denaro è popolato solo di uomini alquanto scettici nel riconoscere in una donna forza di volontà e capacità professionali.
Nel romanzo sono presenti molti riferimenti storici. Quanto e come ti sei documentata?
L’ultima volta che sono stata a New York ho cercato e visitato i luoghi che ho descritto, almeno i pochi che sono rimasti in piedi, visto che gli americani non ci pensano due volte a buttar giù e ricostruire. Poi ho fatto molte ricerche in rete, dove si trova tantissimo materiale su quel periodo, anche dell’epoca. Fotografie, filmati (non mancano neppure quelli!), articoli, titoli di giornale. Ma devo essere sincera, sono state le fotografie a ispirarmi maggiormente, a permettermi di immergermi in quel periodo storico. I primi grattacieli in costruzione, gli scorci della città, i newsboys in sciopero, le suffragette, l’incendio dell’Hotel Windsor, i ritratti fotografici dei personaggi (quelli realmente esistiti) che si incontrano nel mio romanzo. Credo che la New York di fine Ottocento fosse, con Parigi, la città più vivace del mondo, simbolo stesso di un progresso che incominciava ad avanzare molto più velocemente di quanto non fosse mai successo in passato. Per questo motivo, e per il mio amore viscerale per questa città, mi è parso il luogo più adatto dove far crescere le speranze e le ambizioni di Camille (e la sua tormentata storia d’amore). Per la stessa ragione ho scelto come background un ambiente stimolante e ricco, dal punto di vista intellettuale, come quello della redazione di un grande quotidiano.
Sia che siano storici, sia che siano contemporanei, spesso i tuoi libri sono ambientati o parlano anche di Stati Uniti. Come mai? Che cosa ti attira del “sogno americano”?
Gli Stati Uniti non sono certo un Paese perfetto (e lo vediamo ancor di più oggi, dopo gli effetti devastanti della crisi), ma sono comunque in ogni senso un Grande Paese, culturalmente diverso da Stato a Stato e così grande da essere in molte aree ancor oggi incontaminato e selvaggio. Si va dalla raffinatezza intellettuale delle grandi città sulla costa, sia Est che Ovest, dove sono la cultura e il progresso a muovere la società, al retaggio reazionario (per non dire oscurantista) di molti stati del centro, dove molti negano persino la teoria dell’evoluzione; o ancora al pionierismo presente negli stati dell’Ovest (che ritroviamo in Tutta colpa del vento). Il mio legame con gli States è soprattutto legato al mio personale background culturale (culturale in senso lato, non me la sto tirando), alla narrativa di genere e all’amore per la lingua inglese, alla musica (dal country al musical), al cinema e anche alle strepitose serie tv con cui sono cresciuta. Chissà, forse anche l’immancabile sogno americano ha giocato una parte nel farmi assomigliare sempre di più a Nando Mericoni. Chi è Nando Mericoni? Vi ricordate l’ Albertone di Un Americano a Roma? Già, proprio lui. Be’, non sono ancora al suo livello, ma poco ci manca.
Perché le lettrici dovrebbero scegliere Un amore di fine secolo?
Se lo sapessi, avrei scoperto… l’America! Scherzi a parte, non so se le lettrici sceglieranno di leggerlo e perché lo faranno, se lo apprezzeranno oppure no, se mi diranno che preferiscono i miei contemporanei o se mi chiederanno di scrivere altri storici. So solo che dentro a queste pagine ci ho messo tutto, passione, speranza, amore, delusione, serenità e quella spruzzata di dramma necessario a fare di una storia d’amore una grande storia d’amore. Insomma, io in questo romanzo ci ho creduto ciecamente. Spero che le lettrici se ne accorgano e che ci credano anche loro. Almeno un poco.