Racconto natalizio della serie GD Team
Buon Natale, Team
Racconto natalizio della serie GD Team
Zermatt, 23 dicembre 2012
In mezzo al bosco il silenzio era rotto solo dal ritmico fruscio dei suoi sci sulla neve. Swoosh-swoosh-swoosh, il rumore accompagnava la flessione delle gambe e il bastoncino che toccava appena lo strato soffice, perfetto. Né ghiacciato né troppo fresco, farinoso ma non al punto da rallentare le lamine, proprio come piaceva a lei.
Una texana sugli sci, chi l’avrebbe mai detto. Il Team era anche quello. Con Buck e Jet tutto diventava facile, a portata di mano, tirarsi indietro non era un’opzione.
Nicole raggiunse il lato della pista, ai margini del bosco, e con un’ultima curva più secca si fermò. Alzò lo sguardo verso monte e ammirò l’eleganza con cui stava scendendo Benjamin Buckler, il loro team leader. Era molto più veloce di lei, sugli sci, ma l’aveva lasciata partire per prima, in cima alla discesa. La raggiunse in fretta. Un ultimo swoosh, una spruzzata di neve sui suoi sci e sugli scarponi, e si fermò a meno di un metro da lei.
«Che meraviglia, eh?»
Occhi blu come il cielo di quel ventitré dicembre sulle Alpi al confine tra l’Italia e la Svizzera, Buck le rivolse un sorriso che avrebbe fatto venire le ginocchia molli a molte donne, che le avessero appena sollecitate sciando o meno. Nick, come la chiamava anche lui, lo ammirava ma si era abituata a essere immune al suo fascino. Buck era il suo capo operativo, un punto di riferimento e un ottimo amico. Ma quel tipo di scintilla non era mai scattata, tra loro.
Forse sarebbe stato più semplice, se fosse scattata con lui.
O forse no, dopo tutto.
«Lo senti, il silenzio?» gli chiese. «Non ho mai sentito un silenzio assoluto come quello su una pista da sci deserta.»
«Te l’ho detto che era la pista migliore, a quest’ora.»
Una seggiovia più vecchia e lenta delle altre, con un punto di accesso fuori dai percorsi più battuti, e un orario a cui gli altri turisti con tutta probabilità stavano ancora tenendo sotto osservazione la temperatura esterna e finendo di fare colazione: erano stati quelli i segreti per riuscire ad avere tutto il bosco per loro. Punte delle mani e dei piedi ghiacciati e guance quasi insensibili erano un piccolo prezzo da pagare, per quel momento di pace e di infinito.
«Scendiamo? Jet dovrebbe arrivare a breve.»
«Andiamo» disse Nicole, dandosi la spinta con le racchette per affrontare la parte restante della discesa.
Tra poco sarebbe arrivato Jet, al secolo Jaime Travis.
Più che una scintilla, uno spettacolo pirotecnico.
L’albergo in cui alloggiavano era in centro ma in posizione tranquilla, di un’eleganza accogliente più che ostentata, in pieno stile GD. Perché era Langdon che l’aveva prenotato per tutti loro, come regalo di Natale. C’era una camera riservata anche per Digger, anche se non era ancora chiaro se Ariel li avrebbe raggiunti. Adorabile ma sfuggente il loro genio informatico, pensò Nicole uscendo dalla piccola stanza riscaldata dove avevano lasciato sci e scarponi. Infilati nei caldi stivali di pelo, i piedi le dolevano perché la circolazione stava riprendendo, un dolore fastidioso e piacevole insieme.
“Jet dovrebbe arrivare a breve”, aveva detto Buck. Sarebbe arrivato solo o in compagnia? Sì, perché tutti avevano ricevuto l’invito per una o due persone, e ciascuno di loro aveva una camera matrimoniale. GD non aveva voluto rischiare di separarli da qualcuno di importante, a Natale.
Ce l’aveva, qualcuno di importante? Non stava pensando a se stessa: la sua vita sentimentale era una landa arida con rami di cespugli spinosi strappati dal vento e aggrovigliati a formare enormi palle rotolanti, come nei migliori film western. Stava pensando (ancora!) a lui, il terzo componente del team che stavano aspettando. Nel suo caso dipendeva da che cosa si intendesse per “importante”. Da presentare in famiglia o di cui parlare a loro? Sicuramente no. Da portare sulle Alpi per impressionarla con la sua velocità sugli sci e le sue doti amatorie? Molto probabile. Sarebbe stata bionda, fisicamente dotata e con una voce stridula e odiosa. Con un po’ di fortuna. Oppure sarebbe stata bella, misteriosa e affascinante, una rivale formidabile.
Rivale? Non era una gara, per l’amor del cielo! Lei era una sua compagna di team, e come tale aveva di diritto un ruolo nella vita, professionale se non privata, di Jaime Travis. Che cosa facesse lui nel suo tempo libero non la riguardava.
Di certo Buck sapeva se Jet era in arrivo da solo o accompagnato, avrebbe potuto chiederglielo.
Perché? Tra pochi minuti lo scoprirai.
Buck le stava tenendo aperta la porta e Nicole si affrettò.
Lo vide appena furono in vista del bancone della reception, stava parlando con l’impiegato e dava loro le spalle ma lo riconobbe ugualmente all’istante.
«Sei arrivato.» La voce di Buck al suo fianco.
Jaime Travis, che tutti chiamavano Jet, si voltò e, nel vederli, sorrise. Non poteva avere un sorriso come tutti gli altri, invece di un faro che illuminava una stanza?
«Pochi minuti fa. Siete già stati a sciare?»
«Lo sai che con Buck si dorme poco» replicò Nick mentre si avvicinavano.
Che frase infelice! Gli occhi di Jet si posarono su di lei, giusto un’ombra di perplessità a mostrare che poteva aver colto il doppio senso che non era stato nelle sue intenzioni, poi fu di nuovo il sorriso scanzonato di sempre.
«Mi lasci sistemare o devo subito portare le chiappe sulla neve?» domandò a Buck, che gli diede una pacca sulla spalla.
«Sistemati con calma. Le piste non scappano. Sei solo?»
«Sì. Voi?» E di nuovo Jet guardò lei.
Non vedere niente in quello sguardo, si impose Nick.
«Siamo solo noi» disse, sorridendo a sua volta. «Speriamo ancora nell’arrivo di Dig.»
«Arriverà» replicò Jet, sicuro. «Hanukkah è finito da una settimana. Se non verrà per festeggiare il Natale, verrà per noi.»
Se fosse arrivato anche Dig, sarebbe stato un Natale perfetto.
L’albergo aveva anche una piccola spa. Immersi fino al collo nell’acqua calda dell’idromassaggio quando tutti erano sui campi da sci, sembrava di essere in un altro mondo. Neanche la musica natalizia diffusa a basso volume dagli altoparlanti riusciva a rompere l’incantesimo, aiutato dalla vetrata panoramica sulle pendici innevate dei monti.
«Dobbiamo chiamare GD per ringraziarlo. Questo posto dà un nuovo significato al termine “favola”» commentò Nicole, muovendo piano le gambe sott’acqua. Di fronte a lei, Jet aveva gli occhi chiusi. Vederlo rilassato era strano, di solito sprizzava tanta energia quanta una centrale elettrica in grado di mettere in movimento e illuminare una metropoli.
Alla sua sinistra, Buck si sporse dalla vasca per guardare il cellulare, appoggiato sopra un asciugamano lì vicino. Doveva essere arrivato un messaggio. Lo vide asciugarsi una mano e digitare una breve risposta.
«Novità?»
Non erano mai davvero in vacanza, dopo tutto. Anche se portarli via da quel luogo appena dopo averglielo mostrato sarebbe stata una crudeltà, da parte del loro grande capo.
Buck si limitò a scuotere la testa.
Aveva mentito, Nicole lo capì pochi minuti dopo quando una voce la riscosse dal piacevole stato di semi-incoscienza nel quale stava scivolando.
«Siete tutti molto impegnati, vedo.»
Nick sorrise e aprì gli occhi.
«Dig, sei venuto.»
In piedi sulla porta della sala dell’idromassaggio, ancora vestito di tutto punto e con il giaccone appoggiato sul braccio, Ariel Levy, che tutti da anni chiamavano solo Digger, le restituì il migliore dei suoi sorrisi.
«Sì, be’, qualcuno deve impedire che vi mettiate nei pasticci. E aiutarvi con le comunicazioni.»
«Dobbiamo comunicare con qualcuno?» gli chiese Jet, voltandosi verso di lui.
Digger alzò la sottile borsa che teneva in mano.
«GD. Tra mezz’ora, in camera mia. Stanza 18.»
Fece l’occhiolino e se ne andò.
Jet appoggiò la testa all’indietro.
«Non ci credo.»
Saint-Tropez, 23 dicembre 2012
Digger spaccò il minuto, come al solito. Alle 12 in punto David G. Langdon, seduto nel suo studio, ricevette la videochiamata cifrata. Digitò la password che gli era arrivata pochi minuti prima e sullo schermo apparvero Dig seduto accanto a Nick, con Buck e Jet alle loro spalle.
«Buongiorno, Team.»
«Ehi, GD. Come va?» Nicole.
«Bene. Come sono le piste del Cervino?»
«Una meraviglia» rispose Buck, lo sciatore più entusiasta tra loro. «Ci raggiungi?»
Un rumore nella stanza gli fece alzare la testa. Era arrivata Alex. Pantaloni stretti neri e una lunga camicia bianca che esaltava il colore della sua pelle e dei capelli, gli rivolse uno sguardo interrogativo, come a chiedergli se poteva restare. David le fece cenno di avvicinarsi. Alexandra Xavier andò verso la scrivania, ma si tenne ben lontana dal raggio della webcam, preferendo restare in piedi accanto alla finestra. Non guardò fuori verso il mare, però. Da dove si trovava, guardava lo schermo riempito dai visi delle quattro persone che lei non aveva ancora mai incontrato.
«Mi piacerebbe» rispose David al suo team leader. «Ma non posso.»
Non diede spiegazioni e non gliele avrebbero chieste. Non per la prima volta, si chiese se fosse giusto tenere quelle persone di cui si fidava forse più di chiunque altro, che aveva spedito negli angoli più disparati del pianeta e che non l’avevano mai deluso, a distanza dalla sua vita privata. Da Alex. Non era neanche sicuro del perché si fosse creata quella situazione e ora non sapeva come modificarla.
«Dunque, perché ci hai chiamato?»
Jet, il più diretto di tutti.
Un’idea gli balenò in quel momento, sentì le labbra iniziare a piegarsi in un mezzo sorriso e s’impose di riprendere un’espressione seria.
«Per darvi i dettagli della missione.»
«Missione?» Nicole non nascose la sua perplessità.
«Al Mirabeau alloggia un tipo che vorrei teneste d’occhio. Apparentemente innocuo, ma non fatevi ingannare.»
Avrebbe voluto avere a disposizione una macchina fotografica per immortalare la sorpresa che si stava dipingendo sul volto dei tre uomini e della donna che formavano il suo team. Andò avanti, imperterrito.
«Agirà sicuramente domani sera» proseguì.
«Agirà, in che senso?» domandò Buck.
Jet si passò la mano sugli occhi, scendendo poi a stringersi il naso, mentre lo sguardo di Nick andava dallo schermo a Digger, come se stesse cercando di capire se l’esperto informatico sapesse qualcosa in più rispetto a loro.
«Intanto vi mando una foto, così potete identificarlo.»
Fece una rapida ricerca, prese la foto e la inviò alla mail di Dig. Capì che era arrivata a destinazione quando vide la destra di Ariel muoversi sul mousepad. La bocca dell’ex Mossad fu la prima a mostrare una qualche reazione. Dietro di lui, Buck sorrise, poi prese a ridacchiare, Jet fece una smorfia e non riuscì a soffocare un irriverente “Figlio di puttana”, mentre Nicole lo fissò attraverso lo schermo con occhi sgranati prima, divertiti poi.
«Che cos’è, senso dell’umorismo britannico spruzzato di champagne?»
«Nessuno è mai riuscito a prenderlo» disse loro sorridendo.
«E dire che, tra il vestito rosso e la folta barba bianca, non credo gli sia facile passare inosservato.» Ora sorrideva anche lei.
«Dunque non hai lavoro per noi?» s’informò Buck.
David scosse la testa.
«Volevo solo farvi gli auguri di Natale.»
Parlarono in quattro insieme, gli arrivarono auguri e improperi vari, Nicole gli mandò anche uno schioccante bacio accompagnato dal movimento della mano, prima di salutarli.
Quando chiuse la comunicazione, David si voltò verso Alex.
«Ogni tanto riscopro il tuo lato bambino, signor Langdon.»
Stava sorridendo anche lei, ma il sorriso non le raggiungeva gli occhi.
«Vieni qui» disse, picchiando con la mano sulla sua coscia.
La poltrona era larga, Alex non fece fatica a sistemarsi a cavalcioni su di lui. Sarebbero stati soli, quel Natale. Come l’anno precedente, come accadeva da quando non c’erano più i suoi genitori. A Capodanno c’era sempre qualche festa sgargiante, in Riviera, ma Natale era diverso. Natale era per la famiglia. Eppure, per la prima volta, David pensò che a loro due sarebbe mancato qualcosa. Per la prima volta si accorse che gli sarebbe piaciuto che il team venisse incluso in quella famiglia.
Si chiese se la tristezza che vedeva riflessa negli occhi scuri di Alex avesse la stessa origine. No, non era possibile, lei non aveva avuto contatti con il team, non poteva sentirne la mancanza. Probabilmente stava pensando a Xavier.
«Che c’è?» le domandò, per darle la possibilità di confidarsi.
«Niente» mormorò lei, avvicinandosi ancor di più. Ma invece di baciarlo gli nascose il viso contro il collo e lo abbracciò. Come se volesse essere consolata.
Zermatt, 24 dicembre 2012
Punta del naso gelata e piedi che, nello scuoterli per liberare gli stivali dalla neve, facevano male per il freddo, Jet si lasciò alle spalle il buio che era già calato da un’ora e varcò l’ingresso dell’albergo, beandosi del tepore che lo avvolse. Si tolse il cappello e, ancora con il giaccone addosso, andò verso il bar, in cerca di Buck.
Scandagliò i tavolini e il bancone e lo sguardo si bloccò nella zona accanto alla macchina del caffè. Non aveva trovato l’amico e quello che vide non gli piaceva, per niente. Con una coppa di vino rosso in mano, l’uomo stava parlando, mentre Jet lo esaminava non chiuse la bocca un attimo. Di fronte a lui, seduta su uno degli sgabelli con una maglia verde a collo alto che sarebbe stata insulsa su ogni altra donna ma era perfetta per lei, per i suoi colori, Nicky lo ascoltava, annoiata, una mano appoggiata accanto a una tazza sul bancone.
Senza concedersi altro tempo per pensare, Jet mise in moto le gambe e li raggiunse in pochi passi.
«Ciao, tesoro, scusa se ho fatto tardi.» Le posò un bacio sulla tempia, poi si sporse per sbirciare nella tazza. «Cioccolata? Quasi quasi ne prendo una anch’io, fa un freddo cane fuori! Meno male che sei rimasta qui.»
Solo allora, dopo aver appoggiato un braccio sulle spalle di Nicole, Jet si degnò di alzare lo sguardo sullo sconosciuto che aveva, finalmente, smesso di parlare. Tese la destra verso di lui.
«Jaime Morgan. Lei è …»
«Georges Lebœuf» rispose il tipo, stringendogliela. Quindi si alzò. «È stato un piacere, signora» aggiunse in un inglese che suonava come francese. «Ci rivedremo nei prossimi giorni» disse quindi a entrambi, prima di allontanarsi verso uno dei tavolini.
Jet lo guardò andarsene, ritardando di proposito l’incontro-scontro con due occhi verdi che, lo sapeva bene, lo attendeva.
«Non era necessario, tesoro» disse Nicky in tono basso ma glaciale non appena Jet tornò a voltarsi verso di lei.
«Ti stava infastidendo» si limitò a replicare lui, per niente intimorito dal suo sguardo battagliero. Sfidarla era uno dei suoi divertimenti preferiti.
«Stai diventando…»
«Cosa?» la incitò Jet. Non era da Nicky lasciare le frasi a metà.
Buck scelse quel momento per comparire al loro fianco. Se era già lì, doveva aver visto almeno parte della scena, arrivando.
Nicky scese dallo sgabello.
«Ci vediamo tra un’ora a cena.»
Senza aggiungere altro, se ne andò.
Buck occupò lo sgabello rimasto vuoto e ordinò un vermouth con ghiaccio al barista. Poi guardò l’amico, senza dire niente.
«La stava infastidendo» si giustificò Jet.
«Perché le ha rivolto la parola?»
«Bla-bla-bla, non la smetteva un attimo.»
«Stai marcando il territorio» gli fece notare Buck, nel suo miglior tono flemmatico.
«Ma per favore! E poi che cosa sono? Un animale che piscia negli angoli?»
«Lungo tutto il confine» rispose Buck senza scomporsi, mimando una riga con la mano.
Jet scosse la testa. Quel discorso andava chiuso senza aggiungere altro. Infilò la mano nella tasca interna del giaccone e ne estrasse un pacchetto di carta blu chiuso con un elegante fiocco dorato.
«Ho preso questo.»
«Per chi?»
Perché Buck poteva essere così ottuso, quando ci si metteva? Per indispettirlo, era chiaro.
«Per lei, per Nicky!»
«Un regalo di Natale?»
«No, di Pasqua in anticipo.» Posò il pacchetto sul bancone, davanti a Buck. «Da parte di tutti noi. Ecco» aggiunse, infilando la mano in un’altra tasca del giubbotto, che ora gli pesava sulle spalle come una camicia di forza e gli stava facendo fare la sauna. Se lo tolse e lo appoggiò sullo sgabello che aveva liberato il Signor Incontinente-di-parola. «Ho anche il bigliettino, basta che aggiungiate le vostre firme.» Appoggiò una piccola busta color panna sul pacchetto.
«Un pensiero carino» si limitò a dire il suo team leader.
Jet cercò tracce della presa in giro che sapeva essere lì, da qualche parte, nello sguardo e nel tono dell’amico, senza trovarne.
«È un’agenda di pelle da borsa» continuò. «Ho preso anche una penna, a sfera perché le stilografiche non le usa.»
Ora Buck lo stava guardando come se volesse fare pratica di telepatia.
«Ci vediamo a cena» gli disse allora Jet, afferrando il giubbotto.
«E il pacchetto? Non lo prendi?»
«Tienilo. Firmate il biglietto, glielo diamo insieme stasera a cena.»
Buck alzò gli occhi verso il barista, che gli si parò davanti per appoggiare il bicchiere di vino aromatizzato sul bancone di fronte a lui. Lo ringraziò, poi aprì la busta e ne estrasse il piccolo, semplice biglietto.
“Buon Natale, Jet” aveva scritto Jaime Travis nella sua calligrafia migliore, quella che usava quando voleva essere sicuro che gli altri riuscissero a leggerla. Per un attimo, Buck fu tentato di rimettere il bigliettino al suo posto, lasciando una sola firma.
Poi estrasse il cellulare dalla tasca. “Raggiungimi al bar quando puoi” scrisse a Digger.
«Ha per caso una penna?» domandò poi al barista. «Nera, se possibile.»
Brighton, domenica 26 maggio 2013
«Gliel’aveva preso lui, il regalo» ripeté Alex.
Dopo aver spazzolato dai piatti tutto quello che era stato preparato, sul barbecue in giardino, erano scesi in spiaggia per fare quattro passi.
«Senza dire nulla a nessuno. Noi non ci avevamo neanche pensato» ribadì Buck. Il peso del suo braccio sulle spalle la faceva sentire bene, amata e protetta.
«E Nicole non l’ha mai saputo, gliel’avete dato come se fosse da parte di tutti voi.»
«Così ha voluto il signor Travis.»
«Forse ora potremmo raccontarglielo» concluse Alex. «Credo che le farebbe piacere saperlo.»
Una risata dietro di loro li fece voltare. A poca distanza dal bagnasciuga, controsole, Jet e Nicole apparivano come un tutt’uno. Non erano solo abbracciati, lei era in braccio a lui, con le gambe chiuse attorno ai suoi fianchi, i loro profili fusi.
«Giuro, pensavo che non sarebbe mai arrivato dov’è ora, testa dura com’è» osservò Buck scuotendo la testa. Negli occhi, Alex leggeva tutto l’affetto che aveva per quello che, più che un amico, sembrava essere un fratello.
Il suo braccio era ancora fermamente appoggiato alle sue spalle. Alex si alzò sulle punte, in modo da riuscire a posargli un bacio sulla guancia, poi sulla bocca, quando lui inclinò la testa verso di lei.
Erano occhi negli occhi, ora. Ripensando a quel Natale così vicino eppure così lontano, quando Buck le era sembrato ancora irraggiungibile, le labbra di Alex si aprirono in un sorriso.
«L’amore trova sempre il modo.»
FINE