Un vegano lo sa

Quando un vegano, o chi è sulla buona strada per diventarlo, comincia la lettura di un libro sui vegani, di solito lo fa con il naso già arricciato. Lo sa. Conosce già in anticipo ogni luogo comune, ogni battuta, ogni considerazione più o meno a sproposito. Lo sa, ma nonostante ciò nutre una remota speranza che quel libro contenga qualcosa di diverso, che dia una chiave di lettura inedita su un modo di alimentarsi e vivere.

Un muro fitto di diffidenza circonda il vegano, sarà per il nome, sarà che spesso mette in pratica in modo molto genuino ciò che pensa, sarà che se si parla di cibo il conflitto è dietro l’angolo, sarà che pane e salame per i più dovrebbe essere patrimonio dell’Unesco, il vegano non convince, anzi crea proprio sospetto. Un vegano lo sa, ma spera sempre che prima o poi ci si possa sedere di nuovo tutti intorno allo stesso tavolo, senza pregiudizi.

Un libro potrebbe essere utilissimo a ciò, il libro di un personaggio noto quasi una manna dal cielo. A proposito, avete fatto caso che una pioggia di rane o cavallette sono calamità, mentre la manna una benedizione? No, per dire, ecco. Così, con questo spirito arricciato come il naso, ho preso in mano Ho sposato una vegana di Fausto Brizzi, il regista di Notte prima degli esami, edito da Einaudi Stile Libero. Il naso si è rilassato quasi subito. Il racconto di Brizzi è carino, ironico quanto basta, ma soprattutto sincero. Si avverte subito che il disorientamento di Fausto nei confronti di Claudia, veganissima, non è un pretesto narrativo, ma la pura verità. Allora un po’ lo perdoni. Gli perdoni la citazione di Goldrake e i nemici di Vega, la preferita dalla mia generazione e che ormai pesa come un’alabarda spaziale. Gli perdoni il solito e allibito “Quindi VOI vegani cosa mangiate?” Sorvoli sulla comparazione, impropria, tra ciò che mangiava prima e ciò che mangia adesso; e perfino perdoni, anzi a tratti comprendi, la nostalgia canaglia per i latticini. Perdoni, sorridi, leggi e coltivi ancora quella speranza remota che avevi all’inizio. Aspetti fiducioso, mentre conosci meglio Claudia e decidi che ti piacerebbe averla come amica, quella con cui scambi ricette, soluzioni green e consigli ecosostenibili di varia natura. Simpatizzi insomma. Con Claudia e con Fausto entri in famiglia, accarezzi Lana la cana (il labrador di Claudia) e pensi che dai, calare nella quotidianità una coppia mista, vegan/nonvegan, è già un passo. La speranza si fa meno remota, per un attimo. Ma niente. Prima di arrivare a metà libro abbandoni anche la speranza, cambi posizione sulla poltrona e capisci di avere tra le mani un libro d’amore. Allora ti rilassi del tutto, è un altro libro, un’altra cosa, e ciò che i protagonisti mangiano non ha più importanza. È la loro relazione, sono le dinamiche, spesso comiche, uomo-donna; sono le piccole bugie, le assenze, i ritorni, le certezze, le ansie dei due. Vega è solo un pianeta. È una lunga, tenera dichiarazione d’amore alla moglie Claudia, ciò che Brizzi scrive. L’avrebbe scritta lo stesso, anche se lei non fosse stata vegana. Certo, avrebbe cambiato titolo: “ho sposato una venusiana” andava benissimo, tanto a Claudia l’archetipo femminile veste alla perfezione. L’amore, comunque, vince su tutto, perfino sul digiuno ad acqua e limone, sull’antibiotico limone e aglio sobbollito, sul mese crudista e sulla cotoletta di nascosto.

È l’allegro canovaccio per una commedia il libro di Brizzi. Sarebbe (pare che sarà, in effetti) un film carinissimo, leggero, di cui già si intravede il sequel con il pediatra vegano, Claudia mamma green e papà Fausto che sfreccia tra la Terra e Vega, innamoratissimo. In tanta tenerezza Brizzi però commette un errore un po’ grossolano, ahimè. Raccontando di Claudia, del suo essere vegana, anche estrema, declina lo stile di vita della sua amata non come una scelta consapevole ma più come un’amabile stramberia. Costosa, per giunta. Claudia che vuole una casa con un terrazzo grande come un campo da calcio per coltivare il suo orto urbano e ordina quintali di terra bio; Claudia che ha ogni tipo di elettrodomestico (e come la mettiamo con il consumo di corrente?); che vuole andare in Bengala a coccolare gli scimpanzé; che sceglie solo cibo certificato bio, ma anche la frutta tropicale (ma come? e il trasporto, e le stagioni, e la biodiversità?); che i vestiti solo di cotone e lino. Claudia è tanto tanto radical chic nelle parole di Fausto. Un vegano non si riconosce per niente, anzi, sente esplodere in mille pezzi la speranza iniziale e già sente echeggiare un nuovo luogo comune: essere vegani è snob, non alla portata di tutti, costoso.

Mannaggia, Brizzi!