A Christmas Mission
Cari lettori, se avete letto i romanzi e le novelle del GD Team fino all’ultimo uscito, Hard Landing, e la mia nota conclusiva in fondo a quel romanzo, sapete già che incontreremo ancora le donne e gli uomini che avete imparato ad amare nella serie. Il Team sta per cambiare, e in questo racconto, come in quello dello scorso Natale (che trovate a questo link e si svolge negli stessi giorni di questo), ci troviamo nel limbo che si colloca tra il Team che è stato e quello che sarà.
A Christmas Mission è un racconto breve, un piccolo scorcio, ma non ho resistito ad augurarvi Buone Feste a modo mio insieme a loro, personaggi a cui regalate sempre tanto affetto.
Perché, se tutto va come spero, l’anno che sta per iniziare vedrà il ritorno del GD Team nella sua nuova, rinnovata veste.
Un abbraccio e buon 2018!
Budapest, 23 dicembre
«Non è lavorare sotto Natale il problema» brontolò Jet a bassa voce, sapendo che il suo microfono avrebbe catturato anche quel mormorio. «È il dove.»
La nuvoletta che lasciò la sua bocca insieme a quelle frasi si stagliò contro il cielo azzurro. Si infilò le mani guantate in tasca, cercando più calore.
«Persino il quattro di luglio in Texas mi pare il paradiso, in questo momento.»
«Ti sei appena giocato il tuo regalo di Natale. Lo darò in beneficenza.»
La voce bassa e vibrante di Nicky, nell’auricolare. Un suono che lo accompagnava da cinque anni ma che negli ultimi mesi aveva preso sfumature tanto più intime. Da quando dividevano lo stesso letto e, ora, la stessa casa.
Jet sorrise a quel pensiero e ridacchiò per la battuta, emettendo una nuova, più fitta nuvoletta nell’aria pungente che, all’ombra della Chiesa di Mattia dove si trovava, non era neanche intiepidita dal sole.
«La prossima volta, per venirti incontro, faremo vincere al nostro obiettivo una vacanza ai Tropici, così potrai tenere le chiappe al caldo» commentò Buck con il suo solito aplomb. «Per il momento goditi il panorama.»
Il loro team leader era in una posizione più vantaggiosa di tutti loro, con i gomiti appoggiati alla balaustra in pietra del Bastione dei Pescatori e la striscia del Danubio che, più in basso sotto di lui, separava Buda da Pest. Ma era anche quello che avrebbe corso il rischio più grosso, l’unico che l’informatore che stavano aspettando avrebbe visto in faccia e incontrato da vicino.
«Danno neve, stanotte» li informò Digger dal furgone a noleggio dove aveva allestito il suo punto di sorveglianza.
«Cazzo» imprecò Jet, facendo scivolare la suola di uno degli anfibi sullo strato di ghiaccio sotto i suoi piedi.
«Con un po’ di fortuna inizierà dopo che avremo finito.»
Buck era al sole, forse per quello era così ottimista.
O forse era lui che non reggeva più il freddo come una volta e non vedeva l’ora di ritrovarsi da qualche parte al calduccio con Nicky.
Diamine, sì!
Innamorato come un adolescente, ecco cos’era. E altrettanto arrapato.
Inspirò col naso (ghiacciato) ed emise l’ennesima, tiepida nuvoletta.
Non era complicato quello che erano venuti a fare lì a Budapest, praticamente routine. Per esperienza, però, tutti loro sapevano che nessuna missione andava sottovalutata, neanche la più semplice.
Perché era proprio in quei casi che scoppiavano i casini peggiori.
«Che ti ha detto il grande capo?» domandò, tanto per combattere la noia.
Era una domanda per Buck, perché era lui che aveva avuto l’incontro con GD due giorni prima.
«Lo vuoi sapere ora?»
«Ho lasciato Guerra e pace a casa e non so che cazzo fare, finché il nostro uccellino non decide di farsi vedere.»
Per lunghi secondi l’auricolare rimase muto. Jet stava per dire qualcos’altro quando gli arrivò la risposta del suo ex capitano.
«Ristrutturazione. Ma nella direzione opposta a quella in cui la si intende di solito.»
Anche se nessuno degli altri poteva vederlo, Jet annuì.
«Machiavellico, come al solito.»
«Non poteva lasciarsi sfuggire i nuovi asset» commentò Nicky.
Jet rimase sorpreso di sentire qualcuno ridacchiare. Buck?
«Spiega anche a noi» lo incoraggiò.
«Non vedo l’ora di vedere la faccia di Hogan» rispose questi.
Jet stava per chiedergli altre spiegazioni quando la voce di Digger lo precedette.
«Piccione viaggiatore in avvicinamento da ore undici» annunciò.
La bacchetta del direttore d’orchestra che dava il segnale d’attacco agli strumenti.
Iniziavano le danze.
***
Le dita erano strette attorno al bicchiere lungo, freddo, liscio, appoggiato sul bancone di fianco a Nicky. Jet si impose di non staccarle: il bar era affollato e lui non poteva spostare la mano dove avrebbe voluto. Però poteva continuare a divorarle la bocca e a schiacciarsi contro quel corpo snello e morbido premuto contro il proprio.
Spinse in avanti il bacino, ruotandolo appena, e sentì il respiro di Nicky bloccarsi. Fin troppo facile.
Le dita sottili di lei gli si chiusero attorno alla mandibola e quella bocca che sapeva di fragole e tequila si staccò appena dalla sua.
«Di più.»
E Jet obbedì, tuffandosi dentro di lei come avrebbe voluto fare se fossero stati nudi, e soli.
Quando ripresero di nuovo fiato, la testa di Nicky si voltò e lui fece altrettanto, le palpebre pesanti per l’eccitazione.
Il tizio aveva una barba rossiccia, ben curata, e li stava guardando. Non distolse lo sguardo, anzi continuò a fissarli senza alcun imbarazzo. Senza dire nulla.
Attorno a loro, la musica non riusciva a sovrastare del tutto il brusio del bar affollato. Dietro al bancone, i due barman continuavano a muoversi e a servire drink senza sosta. Il ghiaccio dello Strawberry Margarita di Nicky si era quasi sciolto del tutto, probabilmente anche quello del suo whisky, grazie anche al calore della sua mano. Staccò le dita e si raddrizzò in modo da poter guardare meglio il loro osservatore.
Fu Nicky però a parlare per prima. «Ti piace guardare?»
La stessa voce bassa e sexy che usava con lui, la stessa occhiata diretta.
Con fare possessivo, Jet abbassò la mano destra, quella che il tizio poteva vedere, sulla natica di lei.
«Ti eccita?» insistette Nicky con voce sempre più bassa, sensuale.
Jet trattenne il fiato, dominato da sensazioni contrastanti. Si sentiva come il tronco di una palma aggredito dai venti di un uragano.
L’uomo continuava a tacere, ma gli occhi erano puntati sulle labbra di lei, rese rosse dal cocktail e dai suoi baci. Soprattutto dai suoi baci.
«Vuoi seguirci in camera?» riprese Nicky, la sua Nicky, come un caterpillar intento a spianare una strada.
Finalmente il rosso mosse le labbra quasi invisibili per parlare. «Il tuo uomo qui è d’accordo?» La voce era profonda, l’accento marcato.
Nicky si voltò a cercargli gli occhi, mentre un pigro sorriso le piegava le labbra. «Sei d’accordo, uomo mio?» sussurrò, come una sirena.
Poi alzò un dito, uno solo, ad accarezzargli il labbro, spingendo la punta all’interno. Un invito, una tentazione che gli andò dritta ai lombi.
Jet non rispose, anche volendo non era sicuro che ci sarebbe riuscito. Guardò il tizio con la barba rossiccia, prese la mano di Nicky e si rivolse a entrambi.
«Andiamo.»
Attraversarono la sala facendosi largo tra la gente. La mano stretta attorno a quella di lei, non si voltò per vedere se il tizio li stesse seguendo, ed era certo che non l’avrebbe fatto neanche lei.
Il bar dava direttamente sulla grande lobby dell’albergo, un tripudio di ottoni, velluti e specchi. Salirono in ascensore, solo loro tre. Lui e Nicky si appoggiarono a una parete, Barbarossa a quella opposta. Non disse nulla ma con occhi avidi percorse il corpo di Nicky fasciato in un corto abito nero dal tessuto lucido, scintillante, come se fosse stato cosparso di polvere di diamanti. Nello specchio che aveva di fronte Jet intrecciò lo sguardo di lei. Il sorriso segreto che le piegò appena le labbra era per lui, solo per lui.
Per fare qualcosa, una volta arrivati al piano Jet contò i passi che li separavano dalla loro camera. Estrasse la tessera dalla tasca dei pantaloni, la fece scorrere nel lettore ed entrò ignorando l’interruttore, la luce del corridoio una lama chiara e profonda sulla moquette.
Uno, due, tre passi. Avvertiva la presenza di Nicky alle proprie spalle.
Poi sentì il tonfo e si voltò.
Buck era solo un’ombra dietro alla porta; Jet lo riconobbe perché sapeva che sarebbe stato lì ma anche perché lavorare così, fianco a fianco, era ormai naturale come respirare, per loro.
La porta fu richiusa e la stanza piombò per pochi secondi nell’oscurità prima che lo scatto dell’interruttore la investisse di una luce soffusa. Barbarossa era steso sul pavimento, privo di sensi.
Stephan Rohrschach, il loro obiettivo.
Un uomo che nella vita sessuale amava il ménage à trois e che, in quella professionale, era in possesso di informazioni che sarebbero loro servite per arrivare ad altre informazioni.
Con una mano guantata, Buck stava già estraendo il cellulare del tedesco dalla tasca interna della giacca.
Jet si sistemò l’auricolare che, non potendolo coprire, non aveva potuto indossare durante la sceneggiata al bar. In piedi di fronte al comò, Nicky si stava infilando un paio di guanti di lattice. Ne lanciò un paio anche a lui, poi aprì un astuccio nero da cui estrasse una siringa.
«Team Watch, sei pronto a ricevere?» domandò Buck a voce bassa.
Jet si inginocchiò accanto a lui e lo aiutò a posizionare il pollice di Rohrschach sul piccolo display per leggere l’impronta.
«Pronto, Eagle Eye.»
Jet sostenne il cellulare mentre Buck, usando il dito dell’uomo incosciente, faceva le manovre necessarie per consentire a Digger di entrare nel sistema.
«Perfetto, sto ricevendo» comunicò il genio informatico nei loro auricolari.
«Le nostre immagini al bar e nell’ascensore?» volle sapere Jet.
«Già cancellate dal sistema. Le tengo io come ricordo.»
Nicky, che si stava avvicinando con la siringa, gli lanciò un’occhiata a metà tra il divertito e il perplesso.
Mentre Buck riponeva il cellulare, Jet sollevò la manica in modo che lei potesse infilare l’ago.
«Con questa si sveglierà convinto di essersi preso una sbronza» sussurrò Nicky. «Non si ricorderà di averci incontrato.»
«Meno male o, per come ti guardava, avrei dovuto ucciderlo.»
Lei scosse la testa, la bocca piegata in una smorfia divertita. La sirena provocante di poco prima era sparita per lasciare il posto alla professionista con cui Jet lavorava da cinque anni. Ma non era sparito l’effetto che aveva avuto su di lui. Non vedeva l’ora che fossero di nuovo soli. Prima, però, dovevano lasciare quella città ghiacciata.
«Portiamolo in camera sua» disse Buck.
Ecco, quello sarebbe stato il primo passo verso la conclusione della missione.
Non certo per un caso, la stanza di Rohrschach era proprio di fronte alla loro. Mentre Nicky si occupava di cancellare i segni del loro passaggio, Jet e Buck attraversarono il corridoio, certi che Dig avrebbe pensato a cancellare anche quello, e deposero il peso morto sul suo letto.
«Team Watch, hai finito?» domandò il team leader.
«Finito e cancellato le tracce del mio ingresso nel suo cellulare.»
«Percorso di uscita?»
«Il modo più sicuro per lasciare l’albergo in questo momento è calarsi dal cornicione.»
Jet e Buck si scambiarono un’occhiata. Sapevano entrambi di non essere attrezzati.
«Stai scherzando?» sussurrò Jet.
«Oppure c’è la porta di servizio sul retro, accanto alle cucine» continuò Digger nello stesso tono.
Buck sorrise, scuotendo la testa. «Molto divertente.»
«Fa sempre così, in questo periodo dell’anno» commentò Jet mentre tornavano in corridoio. «Le feste gli fanno male.»
***
Brighton, 24 dicembre
«Non pensate che Jet dovrebbe già essere… Oh mio Dio!»
Salendo direttamente dal seminterrato comune, Nicky era sbucata nella grande cucina di Buck e Alex, per trovare i due padroni di casa impegnati in un bacio bollente.
«Non sapevo… Okay, siete vestiti» osservò tirando un sospiro di sollievo.
Buck, che aveva staccato solo le labbra dalla sua compagna, le rivolse un sorriso candido.
«Certo che siamo vestiti. Stiamo preparando la cena della Vigilia.»
In effetti, sul tavolo su cui Alex era seduta erano disposti alcuni vassoi, e due pentole borbottavano sul nuovissimo e futuristico piano cottura.
L’ex capitano Buckler arretrò di mezzo passo, quindi aiutò la sua donna a scendere.
«Dicevi, di Jet?»
«Ho ricevuto un messaggio di Meg qualche minuto fa. Dig è già passato a prenderla e sono partiti per venire qui. Visto che lui e Dig erano sullo stesso aereo…»
Erano rientrati da Budapest seguendo due rotte diverse, perché Digger e Jet si erano fermati a Bruxelles per consegnare i dati reperiti durante la missione.
«Jet era su quell’aereo, giusto?» le chiese Alex, gli occhi luminosi e le labbra gonfie di una donna che stava scendendo da un altro pianeta.
Nicky trattenne un sorriso. Vedere Buck e Alex insieme la rendeva felice, quasi quanto pensare a lei insieme all’uomo in ritardo che la stava facendo preoccupare. Il suo uomo.
«Credo. L’ho dato per scontato perché così era previsto.»
Abbassò gli occhi sul cellulare e iniziò a digitare un altro messaggio per Megan.
Non aveva ancora finito che sentì un bip.
“Sono un po’ in ritardo. Tenetemi il posto.”
Jet.
Nicky si sentì sollevata all’istante. Non era logico preoccuparsi così, no che non lo era. Tutta colpa di quel dannato rapimento, se ne rendeva conto ma non poteva farci nulla. Erano passati mesi ma non era ancora riuscita a scrollarsi di dosso l’angoscia di quei giorni. Il senso di pericolo, la prospettiva di una perdita da cui, ne era certa, non si sarebbe mai ripresa.
«È in ritardo» riferì agli altri due.
Ma sarebbe arrivato, di lì a poco. E avrebbero passato il Natale insieme, il primo come coppia.
Il ricordo della telefonata che si erano scambiati il 25 dicembre dell’anno precedente le attraversò la mente all’improvviso: Nicky era in Texas ed era ancora a letto, sveglia da poco, quando Jet l’aveva chiamata. Erano stati al telefono qualche minuto e lui l’aveva fatta ridere, come al solito. La telefonata era finita troppo presto, lasciandole un senso di calore e di vuoto insieme.
Il pensiero che anche quel Natale le cose sarebbero potute andare così, separati da chilometri e da mille cose non dette, uniti solo da una telefonata e da una collezione di pensieri segreti e sguardi perlopiù rubati, era freddo come il vento che batteva la costa in quei giorni. Ancora più gelido, devastante, il pensiero che Jet aveva rischiato di non essere più con lei, con loro. Li respinse entrambi come timori residui, sciocchi e irrazionali.
“Tenetemi il posto.”
Di sotto, Nicky stava preparando una tavolata per otto persone più un bambino. Sarebbe stato un Natale nuovo, diverso. Il Team diventato famiglia. E per l’ultimo dell’anno sarebbero stati anche di più. Ma, soprattutto, alla fine dei festeggiamenti lei e Jet sarebbero saliti di sopra, nella loro casa, nella loro camera.
Si voltò verso Alex, che stava mescolando qualcosa ai fornelli.
«Che piatti uso?»
*
Jet arrivò che si stavano sedendo a tavola. Scese di sotto con ancora la giacca a vento addosso e un grosso pacco dorato tra le braccia. Lo appoggiò sotto l’albero e la raggiunse. Aveva le mani gelate, si accorse Nicky quando l’abbracciò.
«Che hai portato?»
«Quel grosso elefante che ad Adam piaceva tanto. Ho dovuto eliminare tre papà, un paio di nonni e un Babbo Natale brillo per aggiudicarmi l’ultimo.»
Aveva un luccichio divertito negli occhi, mentre glielo raccontava. Nel sentire quel riferimento a suo nipote, Alex, seduta di fronte a loro, sorrise.
Nicky non ci riuscì, la gola improvvisamente chiusa.
Mangiarono fino a scoppiare, bevvero un po’ più del necessario, si raccontarono storie nuove e conosciute. Aprirono i regali, e Adam finì con l’addormentarsi sotto l’albero, abbracciato al suo nuovo amico.
Fu solo allora che Jet le mise la busta davanti, sul piatto dove c’erano ancora le briciole della crostata.
«Il suo regalo, dottoressa Kelly.»
Un gran sorriso le allargò la bocca e agganciò le dita alle sue prima che lui potesse ritrarre la mano. Finché la curiosità non ebbe la meglio.
La busta conteneva due grosse foto a colori.
«Il piano era un altro» le confessò Jet, avvicinandosi di più mentre lei estraeva le fotografie dalla busta. «Avrebbe dovuto già essere qua davanti, ma non ho fatto in tempo a passare a ritirarla.»
La prima foto mostrava una Mini Cooper grigia metallizzata decappottabile. La seconda il dettaglio di un volante in pelle, con incise le sue iniziali: NK.
Incredula, Nicky gli cercò gli occhi.
«Devi avere una macchina tua, ora che non abiti più a Londra» spiegò lui, come se ciò bastasse a spiegare un regalo simile. «E questa è elegante e grintosa, non grande di dimensioni ma con grande personalità. Perfetta per te.»
«Mi hai regalato un’auto» sussurrò lei.
«Il pacchetto include delle lezioni di guida con il migliore sulla piazza.»
Certo, Nicky non si sarebbe aspettata niente di diverso. Jet come istruttore sarebbe stato isterico, e pazzesco.
«Ma non sei riuscito a passare a ritirarla» osservò, colpita.
«Ho pensato che sarebbe stato più facile far capire a te la storia delle foto e del poco tempo che non al piccolo Adam.»
Nicky lo guardò, assorbendo per la milionesima volta ogni dettaglio del volto che amava. Da anni.
«Andiamo di sopra a prendere il pudding e le coppette» disse.
«Il pudding?»
Ora era lui quello sorpreso, non sapeva se per il brusco cambio di discorso o perché lei, texana, aveva preparato un piatto inglese. Ma la cosa le piacque.
«Al cioccolato. Ricetta trovata su Internet poche ore fa.»
Lo precedette lungo le scale fino alla loro cucina. Ma, prima di raggiungere il frigorifero, si voltò e lo spinse contro l’unica parete libera gettandogli le braccia al collo e catturandogli le labbra.
«Direi che il regalo ti è piaciuto…» sussurrò Jet quando si staccò per respirare.
Nicky gli prese il volto tra le mani e gli cercò gli occhi, felice di trovarli appannati di eccitazione, la stessa eccitazione che aveva sentito crescere contro il suo ventre quando si era schiacciata contro di lui.
«Sei tu il mio regalo di Natale, Jaime Travis.»
L’uomo che rinunciava a stupire la sua donna con un’auto nuova parcheggiata di fronte a casa per andare a comprare un grosso peluche per un bambino. E che non si rendeva neanche conto di quanto quel gesto rivelasse di lui.
Il sorriso che gli illuminò il viso era lo stesso che Nicole conosceva e che l’aveva messa segretamente al tappeto per tanto tempo. Eppure era anche nuovo, privato, solo suo.
«Perché allora non andiamo di sopra così mi puoi scartare?» le disse, infilandole le mani sotto al maglione.
Nicky scoppiò a ridere. Piegò una gamba verso l’alto e Jet fu rapido a cogliere il segnale, issandosela addosso. E lei riprese a baciarlo, pensando che il vuoto e la distanza erano solo un brutto ricordo, perché Jet era lì, con lei, contro di lei, e tra poco sarebbe stato dentro di lei.
Jaime Travis era suo e Nicole Kelly non era mai stata certa come in quell’istante che l’avrebbe amato sempre, in ogni suo microscopico e macroscopico aspetto.
Battute idiote comprese.