Nuovo anno, nuovo Team!
#GDTeamduepuntozero
#ilfuturodelteam
#GDTeamChristmasEdition
Cari lettori, se avete letto Hard Landing e la mia nota conclusiva in fondo al romanzo, sapete già che incontreremo ancora gli uomini e le donne che avete imparato ad amare nella serie GD Team. Tra me e me e con voi, negli scorsi mesi ho anche dato un soprannome a questo misterioso futuro del Team: GD Team 2.0. Il Team cambia, si evolve. Cresce perché in realtà è cresciuto durante tutta la serie. Vi ricordate le parole del grande capo nella scena finale di Hard Landing?
Il punto è: che cosa fareste se foste GD, ora che avete a disposizione gli uomini e le donne che hanno affiancato il Team originario durante lo scontro con Derek? Ve li lascereste scappare?
Leggete queste pagine e troverete risposta a queste domande.
Buon Team e Buon 2017!
Una di noi
Saint-Tropez, 25 dicembre
«Sono davvero felice che tu abbia accettato di passare la Vigilia insieme a noi.»
Non erano state le parole a colpirla, ma il sorriso con cui Claire Langdon le aveva pronunciate e l’abbraccio in cui l’aveva stretta. Michelle Dupré aveva già incontrato la madre di David in un paio di occasioni. La cena della Vigilia, però, era un’altra cosa, e non solo perché era presente anche il fratello di Claire: era un momento “della famiglia”. Era bastato quell’abbraccio e Michelle si era sentita accolta.
«È bellissimo vedervi insieme» le aveva detto David quando avevano lasciato la tenuta alle due di notte.
David aveva rifiutato l’invito di sua madre a fermarsi lì a dormire perché “è il nostro primo Natale insieme, preferiamo stare a casa nostra”.
Chez nous.
Con la testa schiacciata contro il cuscino per proteggersi dalla luce che invadeva già la stanza, Michelle si lasciò scaldare dal ricordo di quelle due parole. Poteva anche essere fantastico scoprire che lei e Claire si intendevano molto bene, e non solo perché parlavano la stessa lingua, ma il suo vero regalo di Natale erano gli ultimi mesi che aveva trascorso insieme al figlio.
Se li era aspettati complicati, perché David Gordon Langdon era un uomo complicato. Non lo erano stati ed erano volati. Una vacanza alle Bahamas, un viaggio a Dubai, un weekend lungo a New York a dicembre, durante il quale si erano incontrati anche con Paul Shepard. E in mezzo tanto lavoro: per David, soprattutto, ma anche per lei.
Michelle aveva accettato un incarico di coordinamento di una desk research per l’UKS, che non aveva richiesto la sua presenza costante a Losanna. Ma non era quello che lei voleva continuare a fare. L’incarico si era concluso a metà dicembre, ai primi di gennaio aveva un appuntamento con il suo direttore e, se lui non le avesse restituito una squadra operativa, avrebbe dovuto decidere che cosa fare. Doveva soprattutto decidere se il tipo di lavoro che aveva svolto fino a quel momento sarebbe stato compatibile con la sua vita attuale. Con David.
Che doveva essere di sotto o in spiaggia, perché la sua metà di letto era vuota. Non importava quanto poco dormissero, al mattino David Langdon non rimaneva mai a letto fino a tardi.
Sotto al sottile e morbido piumino Michelle si stirò, sentendosi piacevolmente indolenzita, il corpo una mappa di ricordi. Di dove David l’aveva toccata, dove l’aveva baciata, dove l’aveva schiacciata e di dove lei aveva schiacciato lui. Avere la mente piena di quelle immagini, sentire la pelle ancora marchiata da lui e, soprattutto, sapere che l’uomo che ne era responsabile non sembrava avere alcuna intenzione di sparire dalla sua vita: quello era il suo regalo di Natale.
«Sei una pigrona» disse una voce ruvida e morbida insieme, perfetto completamento di quel momento.
Proveniva da qualche parte dietro di lei, a occhio e croce dalla porta di quella che era diventata la loro camera lì a Saint-Tropez.
«E sei ancora nuda» aggiunse.
Una carezza. Sensuale. Come se Michelle potesse sentire fisicamente il suo sguardo su di sé. Sulle spalle e sulle braccia ma anche sulle parti di corpo ancora sotto alla coperta.
Seguì il rumore quasi impercettibile dei suoi passi – doveva avere solo i calzini, e se avesse fatto un po’ meno freddo non avrebbe avuto neanche quelli – e aspettò per vedere se si sarebbe seduto sul letto. Dal suo lato, come faceva spesso quando andava a svegliarla. Come aveva fatto fin dalla prima notte che avevano trascorso insieme, a Parigi.
Il materasso si inclinò ed eccola, la sua mano sulla schiena. Un po’ fredda rispetto alla pelle di lei, ma Michelle se l’aspettava e non sussultò.
Girò la testa sul cuscino in modo da riuscire a guardarlo.
«Buongiorno» disse, con quel poco di voce che riuscì a tirar fuori per quella prima parola del mattino.
«Buongiorno e buon Natale» rispose lui.
«Buon Natale. Di nuovo.»
Michelle allungò la mano per accarezzargli il viso. Quando erano alle Bahamas, David si era tagliato la barba ed era rimasto sbarbato per qualche giorno. Perché, aveva detto, lei doveva conoscere anche il suo viso così com’era: nudo, senza copertura. Ora era ricresciuta, la lunghezza e la forma quelle a cui era abituata, e le piaceva così.
Abbassò la mano sul collo, fino al bordo del pesante cardigan grigio aperto davanti. Con niente sotto. Il contrasto tra lo spesso maglione e la pelle nuda era intrigante e Michelle si divertì a delineare il confine con le dita. David era uomo dai contrasti intriganti, in più di un senso.
«Ho qui il tuo regalo.»
Questo attirò la sua attenzione e Michelle tornò a cercargli lo sguardo.
«I miei per te sono in salone, sotto l’albero» replicò.
Lui fece una smorfia con il naso. Una smorfia buffa che lei non gli aveva mai visto, fino a qualche mese prima, perché apparteneva solo al David privato. Ora la conosceva.
«Anche alcuni dei miei.» Tirò fuori dalla tasca del cardigan una scatola piccola e piatta avvolta in carta blu e con un sottile fiocco dorato. «Ma questo è il primo a cui ho pensato, parecchio tempo fa, ed è il primo che voglio darti.»
Michelle si tirò indietro, appoggiando il cuscino contro la testiera di alcantara. Allungò una mano e David le posò la scatola sul palmo, poi circondò mano e scatola con le sue.
«È un regalo a cui si può dire di no.»
Dovette cogliere la sua espressione sorpresa – non poteva aver sentito il tuffo del suo cuore! – perché sollevò un sopracciglio e piegò le labbra in un mezzo sorriso.
«Non è un anello di fidanzamento» specificò.
«Sei un inguaribile romantico.»
«Il mio romanticismo è inguaribile, ma ha i suoi tempi. Questo è il regalo perfetto per questo Natale. Spero che lo accetterai» concluse, lasciandole la mano.
«Stai cercando di influenzarmi?»
«Farò tutto il possibile, per influenzarti.»
«Almeno sei onesto» borbottò Michelle, cominciando a sciogliere il nastro.
David annullò la distanza tra loro e le catturò le labbra, cogliendola di sorpresa. Un attimo dopo era persa in quel bacio, che non fu delicato né un proforma: in due battiti di cuore, le risvegliò l’anima e le infiammò il corpo. Senza usare le parole, David le stava dicendo moltissimo.
Mi sta ricordando che cosa abbiamo. Il fuoco che c’è tra noi.
Perché?
«Farò tutto il possibile, per influenzarti.»
«Fammi aprire» gli sussurrò a fior di labbra, qualche istante o qualche minuto dopo, anche se il suo corpo richiedeva a gran voce tutte le attenzioni che l’uomo schiacciato contro di lei era in grado di darle.
David si tirò indietro quanto bastava a consentirle di muovere le mani.
Una volta scartata, la scatolina era chiara, anonima. Nessun nome di gioielliere o di altro negozio, ma che non si trattasse di un gioiello Michelle l’aveva già capito.
L’aprì e si ritrovò davanti un bigliettino appoggiato su uno strato di velluto a pieghe sistemato in modo da non farlo muovere. Un biglietto da visita. Con il suo nome in mezzo.
«Michelle Dupré» lesse. E poi, sotto: «Strategy Manager».
«Director of Operations suonava troppo “CIA”» spiegò lui. «E poi, tu sei una stratega nata.»
Lei alzò gli occhi sui suoi, solo per un istante, prima di tornare a guardare il bigliettino.
«GD Security.»
«Quel cerchietto è temporaneo, al suo posto ci sarà un logo. Quando avremo deciso che logo vorremo.»
«Che significa?» gli domandò in un sussurro.
Michelle lo intuiva, ma voleva che fosse lui a dirglielo. Perché all’improvviso sembrava logico, eppure in quei mesi lei non ci aveva mai pensato. Le prospettive che quel bigliettino apriva stavano ribaltando il suo mondo e lei si sentiva senza fiato come dopo la prima, ripida discesa sulle montagne russe.
«Ti affido il Team» rispose David con convinzione. Con una straordinaria convinzione che sembrò creare in lei un nucleo caldo, che dal ventre cominciò a irradiarsi verso la testa e il cuore. «O meglio, quella che sarà l’evoluzione del Team. A te il Team originario, a Irina il secondo Team. Se ti piace l’idea di lavorare insieme a Irina, alla quale non ho ancora detto nulla. Sarebbe vostro il compito di tenere i contatti con i clienti, una volta che avremo deciso di accettare un lavoro, e di supervisionare le operazioni insieme ai team leader.»
«Buckler e Hogan» intuì Michelle.
GD annuì.
«Io ci sarò sempre, per le decisioni più importanti, ma non potrei mai seguire due team. Già negli ultimi tempi dividermi tra le Langdon Industries e il Team è stato…» Sorrise. «Complicato.»
«GD Security» ripeté Michelle, prendendo il bigliettino dalla scatola e guardandolo di nuovo, in ogni dettaglio.
«GD è…»
«Il tuo soprannome, lo so. Jaime Travis ha una mente creativa.»
Ed era sempre al fianco di Buckler. Con una punta di panico Michelle realizzò che avrebbe lavorato anche con Jet. Poi, con la stessa rapidità con cui era arrivato, il panico si dileguò e le venne quasi da ridere. Se qualche mese prima le avessero detto che avrebbe lavorato insieme a Jaime Travis, non ci avrebbe mai creduto.
«Se non vuoi usare Dupré ma il tuo vero cognome, non hai che da dirlo» continuò David. «Questo è solo un campione.»
David conosceva tutta la sua storia. Ne avevano parlato una sera davanti al camino e a due bicchieri di brandy, a Greenwich. Una serata terminata con i due bicchieri vuoti e loro due nudi che facevano l’amore sullo spesso tappeto, mentre le fiamme si trasformavano in brace.
«C’è scritto “indirizzo” ma non dice quale.»
Si accorse che, per la seconda volta, sarebbe suonata troppo analitica. Ma stava cercando di mettere a posto ogni pezzo, per afferrare l’enormità del cambiamento che le si stava presentando davanti. Che David Langdon le stava offrendo.
«Ho due proposte immobiliari: una fuori Londra, l’altra a Versailles. Se accetti la posizione, ne parleremo con gli altri.»
Per l’ultimo dell’anno sarebbero andati a Brighton, perché Buckler e Travis avevano deciso che il vecchio anno si doveva chiudere e il nuovo aprire nella loro nuova villa bifamiliare.
Londra o Versailles, aveva detto David. Inghilterra o Francia, le sue due anime. Michelle amava la villa di Greenwich perché, anche se non era lì che erano stati insieme la prima volta, era in quella casa che il loro rapporto era cambiato. Ma Parigi…
«Versailles?» rilanciò allora.
«Ti piace l’idea?» le domandò lui sorridendo.
Michelle amò ogni istante e ogni dettaglio di quel sorriso, dal luccichio divertito degli occhi alla piega delle labbra, fino alle piccole rughe che si erano formate agli angoli della bocca. Gli prese la mano, intrecciò le dita con le sue.
«Da morire. Tutto quanto» confessò. Scosse la testa. «Non so che dire.»
«Di’ di sì.»
Voleva farlo, ma Michelle Dupré aveva bisogno di avere davanti il quadro completo e finito, prima di prendere una decisione sulla quale non sarebbe più tornata. E, a giudicare dalla pazienza che stava mostrando, David lo sapeva.
«Se fosse Versailles, come faremmo?»
Già si spostavano in continuazione: ora nella loro vita sarebbe entrato un altro luogo ancora.
«È parecchio tempo che penso di comprare un appartamento a Parigi. E poi, ci saranno le missioni ma ci saranno anche lunghe pause tra le missioni, e Parigi di fatto è a metà strada...»
«… tra Londra e Saint-Tropez.»
«Esatto.»
«Buckler lo sa?»
«Sì.»
«E?»
«Approva.»
«Si troverà a lavorare sotto di me» constatò Michelle. Lei che era arrivata dopo, che si era scontrata anche con Benjamin Buckler, all’inizio, e che, rispetto a loro, era sempre stata un’outsider. Non era disposta ad accettare quel lavoro se fosse stata percepita come “la donna del capo”.
«È un soldato» replicò David, «a lui rimarrebbe il controllo operativo delle missioni. La parte che faresti tu? Credimi, è contento che io non abbia chiesto a lui di occuparsene direttamente.»
«Oh mio Dio, e Hogan…»
«… guiderà il Team che dipenderà da Irina, ho parlato anche con lui. Avevo bisogno di sapere che i due team leader fossero convinti del progetto al 100%.»
«E lo sono.»
Un’affermazione, non una domanda, perché altrimenti non sarebbero stati lì a parlarne.
«È un piano perfetto» ribadì GD. «Se tu accetti, è perfetto.»
«E se accetta anche Irina.»
«Ci sono i suoi figli, c’è Konstantin, e lei sta chiudendo le attività a Mosca. È pronta per altro. Credo che sia pronta per questo.» Sollevò le loro mani unite e le baciò la punta delle dita. «Dimmi di te. Voglio sapere se anche per te è il regalo perfetto per questo Natale.»
«Tu sei perfetto.»
«Neanche lontanamente. Ma sono lusingato che lo pensi.»
Senza preavviso, David abbassò il sottile piumino, scoprendole il seno, e cominciò a tracciarle disegni sulla pelle con i polpastrelli.
«Ho grandi progetti per te, ho grandi progetti per noi.»
Così le aveva detto mesi prima, a Greenwich. Quella frase all’improvviso acquisiva molto più senso. Dunque si era riferito alla sfera professionale? Il pensiero le chiuse la gola.
«Non mi stai offrendo un lavoro per allontanarmi da te nel privato, vero?» sussurrò.
«Funzionerebbe?»
«No.»
«Bene. Perché ti voglio sul lavoro e nel privato.» Si abbassò, prendendole un capezzolo tra le labbra, stuzzicandoglielo con i denti. «Sono un ingordo» mormorò dopo essersi staccato di pochi centimetri, e il suo respiro sulla pelle umida la fece rabbrividire. «La sua risposta, signora Dupré» insistette poi, guardandola negli occhi.
Michelle riappoggiò il biglietto nella scatola e gli infilò le mani tra i capelli.
«Credo che Jaime Travis mi farà impazzire, ma sì.» Ora fu lei a cercargli le labbra. «Sì» ripeté contro le sue.
David si sistemò meglio accanto a lei e prese la scatolina; la appoggiò sul comodino, poi riprese a baciarla.
«Sarà fantastico lavorare insieme» sussurrò tornando a stuzzicarle un capezzolo con il pollice e spostando una gamba sulle sue, ancora sotto il piumino.
«Abbiamo già lavorato insieme» gli fece notare Michelle, percorrendogli la pelle con le dita, facendo scivolare giù il cardigan in modo da scoprirgli le spalle.
«Non era ufficiale e non mi bastava.» David infilò una mano sotto al piumino, cercandole la vita, il fianco. «Come ho detto, sono un ingordo: tendo a volere tutto.»
Si sollevò e con un solo gesto abbassò il soffice strato che li separava.
«Sarai il mio capo» osservò Michelle in un soffio, fissando la mano di lui che le percorreva la gamba, dal basso verso l’alto.
Toccarlo o essere toccata da lui: doveva ancora decidere quale fosse la droga più potente.
«Saprai gestirmi senza problemi» replicò lui, fermando la mano e cercandole lo sguardo. Sorrise. «Lo hai sempre fatto.»
Brighton, 31 dicembre
La strada non era lontana dalla casa che Buckler aveva occupato prima del trasloco. Era sempre fuori dal chiasso del centro e con la vista sul mare, su un dolce declivio che qualcuno avrebbe potuto anche chiamare collina. A quell’ora, i colori erano uno spettacolo: la giornata era stata serena e, a ovest, cielo e mare si incontravano in un tripudio di viola, arancio e oro.
David fermò la Buick Lacrosse sul lato della strada.
«È quella bifamiliare là davanti» indicò.
Buckler e Travis che diventavano vicini di casa sembrava un’evoluzione naturale. Più che vicini, pensò Michelle, visto che il seminterrato era stato unito, ed era lì che avrebbero festeggiato. Anche la Kelly e la Xavier dovevano aver approvato quella sistemazione. Erano diventate amiche?
«Alexandra…» disse, lasciando la domanda in sospeso, chiedendosi se David l’avrebbe intuita.
L’ex compagna di David. Erano partite malissimo, lei e Alexandra Xavier. Sebbene le cose fossero un po’ migliorate, in occasione dei loro ultimi incontri, nella sua testa Michelle non era ancora riuscita a scrollarsi del tutto di dosso quel confronto. Tanto per cominciare, Alex, come tutti la chiamavano, era molto bella e più giovane. E poi aveva trascorso anni accanto a David: quanti momenti avevano condiviso? Quante cose dovevano ricordargliela? Non erano quelle considerazioni, però, che le impedivano di archiviare lo stupido, inutile confronto, bensì una semplice domanda che restava ancora senza risposta: David e Alex sarebbero stati ancora insieme se lei non l’avesse lasciato per mettersi con il suo team leader, Benjamin Buckler?
«Alex sarà nel secondo Team» rispose David.
Michelle distolse lo sguardo dall’elegante edificio, che ancora stava fissando, per riportarlo su di lui.
«È una decisione loro, non mia» aggiunse l’uomo al suo fianco, forse accorgendosi della sua sorpresa. «Alex aveva già iniziato a lavorare con il secondo Team in fieri, la scorsa primavera. E Buck non ama l’idea che la sua compagna sia in missione con lui.»
“La sua compagna”: Michelle soppesò il tono con cui aveva pronunciato quelle parole. Nessuna traccia di rimpianto, nessun’ombra nel suo sguardo, che era ancora dritto su di lei.
«Anche Travis e la Kelly sono insieme» continuò allora Michelle, imponendosi di distogliere il pensiero dalla donna di cui era stata gelosa per tanto tempo e di pensare a 360 gradi.
«È diverso. Loro alle spalle hanno cinque anni di missioni insieme.»
«Squadra che vince non si cambia.»
David sorrise, un sorriso pieno d’orgoglio come poteva essere quello di un padre.
«Qualcosa del genere.»
«E la Levy?»
Deborah Levy, sorella del genio informatico che aveva lavorato con David fin dall’inizio, stava rientrando dai Caraibi con… Paul Hogan. Coppia improbabile, eppure, dal poco che Michelle aveva visto e da quello che David le aveva raccontato, assolutamente perfetta.
«Deb e Megan saranno le vostre risorse informatiche di coordinamento, in sede o dove vi sposterete per affiancare i due Team sul campo.»
Megan Reed. Che l’aveva vista ubriaca, una sera. Migliore amica di Deborah e ora compagna di Digger: la famiglia Levy sarebbe stata una costola importante della loro organizzazione.
Michelle sorrise, scuotendo la testa. Di certo non si sarebbe potuto dire che la GD Security scoraggiava le relazioni tra i membri dello staff. Tra legami familiari e relazioni amorose, avrebbero formato un gruppo di uomini e donne molto compatto ma davvero insolito. In fondo, sarebbero stati insoliti anche gli incarichi che sarebbero stati loro affidati.
«Wolf ha già accettato.»
Per metà domanda, per metà affermazione.
David annuì. «Il suo ruolo sarà speculare a quello di Digger, nel secondo Team.»
Michelle aveva già lavorato con lui, così come aveva lavorato con Megan. E nutriva grande ammirazione per Ariel Levy, che anche lei si stava abituando a chiamare Digger e che considerava un genio fatto e finito.
«Chad arriva dagli Stati Uniti a metà settimana. L’unica conferma che ci manca è quella di Irina» continuò David.
Lo guardò sfiorare il display del grosso cellulare, che aveva sistemato nell’apposito alloggiamento sul cruscotto. Erano arrivati un paio di messaggi solo negli ultimi minuti: David ne aprì uno e lo lesse.
«Io e Dig voleremo a Mosca dopodomani» disse poi.
Ariel, il figliastro di Irina. Non una scelta casuale, la sua.
«Irina sarebbe un valore aggiunto» commentò Michelle. «Conosce i Paesi dell’est e il Medio Oriente molto meglio di me.»
David sorrise ma non disse nulla.
«Cosa c’è?»
«Niente. Tutto.» Le prese la mano e la girò, per poi posarle le labbra sull’interno del polso. «Sono un uomo fortunato.»
La barba le solleticò la pelle, il contatto le fece arrivare un’ondata di calore dritta al cuore.
«Dunque sanno che ho accettato» riprese Michelle, quando lui ebbe riabbassato la mano senza lasciargliela andare.
«Sanno tutto ma non ne discuteremo stasera.»
«Riunione alla Langdon Industries quando tornerete da Mosca.»
«Sì. Allora avremo, spero, l’organico al completo.»
«E in quell’occasione decideremo tra Londra e Parigi.»
Di nuovo, lui annuì. «Stasera saremo solo David e Michelle.»
«GD e Michelle» lo corresse lei. «Con Travis in circolazione, non potrebbe essere altrimenti. Oddio… darà un nomignolo anche a me?»
David scoppiò a ridere.
«Se lo farà, non illuderti di scoprirlo subito. Io ci ho messo mesi.»
«Questo perché tu non sei una spia.»
A quella replica, David rise di nuovo, poi ingranò la marcia e raggiunse la casa dove avrebbero salutato il vecchio anno e accolto l’arrivo di quello nuovo.
Dove avrebbero, in qualche modo, anche salutato il vecchio Team e dato il benvenuto a qualcosa di nuovo e più grande, che avrebbe continuato ciò che David Langdon aveva iniziato cinque anni prima, portandolo però a un nuovo livello.
GD Security.
Una nuova creatura dell’uomo che Michelle aveva ammirato a distanza, di cui era stata segretamente innamorata per mesi. Lo stesso uomo che, lasciandola senza parole, l’aveva trascinata nella propria vita e che, continuando a lasciarla senza parole, sembrava non avere alcuna intenzione di lasciarla andare.
E di quel nuovo, ambizioso ma assolutamente realizzabile progetto, David Langdon, GD per gli uomini e le donne del suo Team, aveva voluto che facesse parte anche lei.
1 gennaio
David Langdon guardò lo spettacolo che aveva davanti, cercando di celare lo stupore dietro allo sguardo divertito. Non era difficile, era anche divertito. Molto.
Del resto, Michelle lo aveva stupito fin dall’inizio, ancora prima di rendersi conto che pensava a lei come a una donna. Come a “la donna” che voleva al proprio fianco.
Seduta di fronte a Benjamin “Buck” Buckler all’estremità del lungo tavolo che, ore prima, era stato allestito per il cenone, era impegnata in una gara di bevute con il suo team leader. “Suo” di David e, in un prossimo futuro, anche di Michelle.
Il pensiero che lei avesse accettato la sua proposta, venendo via da un’organizzazione in cui non la considerava più al sicuro, e che quel progetto stesse finalmente per decollare lo rendeva felice. Era un’idea che aveva iniziato a delinearsi nella sua mente mesi prima, quando avevano avuto bisogno dell’aiuto di alcuni degli uomini e delle donne riuniti in quella sala, una sorta di stanza di addestramento-barra-computer che Buck e Jet avevano ottenuto dal loro seminterrato e che ora, per l’occasione, era stata addobbata a salone delle feste.
Paul Hogan e Deborah Levy li avevano raggiunti direttamente dall’aeroporto un’ora prima della mezzanotte. Non erano tutti, quella sera, ma David sperava che sarebbero stati tutti di lì a pochi giorni, per il kick-off meeting ufficiale a Londra.
Il colpo di un bicchierino vuoto sulla superficie del tavolo lo riportò alla scena che si stava svolgendo a pochi metri da lui. Lo shot era stato svuotato da Buck e la parte maschile rise ed esultò, mentre una manata targata Hogan colpiva la spalla dell’ex capitano dell’SAS, scuotendolo più della tequila che aveva appena ingerito. La tequila era stata una scelta di Michelle: molto cavallerescamente, Buck aveva lasciato che fosse lei a decidere, tra le bottiglie che avevano a disposizione.
Jet da un lato e Nicky dall’altro stavano riempiendo alcuni dei bicchierini che erano stati appena svuotati, perché i due bevitori avevano superato i sei shottini a testa, che costituivano la dozzina che avevano avuto a disposizione. Megan, alle spalle di Michelle, si chinò a sussurrarle qualcosa nell’orecchio, e Miche annuì.
Uomini contro donne, era quella la sfida.
«Ho già fatto una volta le scale di Greenwich con te in braccio, tesoro, ma erano in discesa» disse allora lui a voce alta, approfittando del momento di relativo silenzio. «In salita la mia schiena potrebbe non farcela.»
Michelle si voltò verso di lui, lo sguardo acceso, un po’ brillo, i capelli più scomposti rispetto all’inizio della serata. Meno perfetta, più viva. Gli ricordava la Michelle privata, appassionata, che solo lui, tra tutti loro, conosceva. Che solo lui, fino a quel momento, aveva conosciuto.
Gli sorrise e gli fece l’occhiolino, prima di riportare l’attenzione sulla gara.
David era rimasto sorpreso nel vedere Buck farsi avanti in rappresentanza degli uomini, quando Jet – e chi altri? – aveva proposto la sfida. Era stato ancora più stupito quando proprio Michelle si era seduta di fronte al suo futuro team leader. In quell’istante capì che la sua decisione era stata perfetta. Impulsiva, forse, ma strategicamente perfetta.
Offrendosi di rappresentare le donne nella sfida, Michelle era scesa dall’invisibile piedistallo che l’aveva separata dal resto del gruppo per tutta la serata, a dispetto dei preparativi comuni per la cena, delle chiacchiere, delle risate, del brindisi di mezzanotte e degli auguri. In modo impercettibile e nonostante la loro relazione fosse ormai nota a tutti, fino a quel momento Michelle Dupré era stata ancora un’outsider. Ora, invece, stava mostrando a quegli uomini, a quelle donne, ma soprattutto all’uomo che le stava di fronte e che avrebbe lavorato in tandem con lei, che poteva essere – che era – una di loro.
«Credo che il capitano Buckler rimarrà a dormire qui, su uno dei tappetini» osservò Alex, nello stesso tono squillante che aveva usato lui, in modo da farsi sentire da tutti.
«Traditrice» rispose l’interpellato.
La risposta di Buck strappò una risata.
Le note di “Survivor” sostituirono “The final countdown” nella compilation che Digger aveva fatto partire sul sistema stereo per ordine del sergente Travis all’inizio della sfida.
«Ancora due» propose Michelle all’uomo che le stava di fronte.
«Non ce la puoi fare» replicò lui.
Benjamin Buckler, sguardo limpido da cecchino nonostante l’alcol che aveva in corpo, rimaneva serio anche quando intorno a lui regnava la follia. La sua ironia, come al solito, andava cercata negli occhi e tra le righe. Buck poteva essere la loro roccia, pensò David, ma racchiudeva in sé tutta la flessibilità e la capacità di rispondere alle variazioni dell’ambiente circostante tipiche dei migliori leader. Chissà, forse anche la sua decisione di candidarsi per quel gioco era stata strategica: un’esca per Michelle e un piccolo show messo in scena a beneficio di tutti, a beneficio del Team al completo. Un modo per chiudere con il passato e costruire un nuovo inizio nelle primissime ore di quel nuovo anno.
«Forse sei tu quello che non ce la può fare» ribatté Michelle alzando di più la testa.
«Okay. Ancora due e dichiariamo il pareggio» concluse allora Buck.
Miriam rientrò nella sala in quel momento: il piccolo Adam si era finalmente addormentato e lei l’aveva portato al piano di sopra. David la vide appoggiare una radiolina bianca su un ripiano e affiancarsi ad Alex.
Anche David si avvicinò di più al gruppo, portandosi alle spalle di Buck. Era accanto agli altri uomini ma era Michelle che osservava. Nel momento in cui si stava portando alle labbra l’ultimo shottino, la vide esitare. Per un attimo fu sicuro che avrebbe desistito… ma no, riuscì a buttare giù anche quello. La guardò chiudere gli occhi, poi riaprirli e appoggiare il bicchiere sul tavolo con gesto teatrale.
Le donne esultarono.
«Okay okay» fu il commento di Buck quando le voci e gli applausi femminili si furono placati.
Prese un respiro profondo, poi mandò giù l’ultimo shot e scattò in piedi, come se non ce la facesse più a stare fermo, e questa volta gli applausi e le grida di esultanza arrivarono da tutti quanti. C’era più chiasso ora che non allo scoccare della mezzanotte. Jaime Travis sapeva come animare una festa.
«Fermi lì e guardate verso di me» si levò la voce del giovane Xavier quando gli schiamazzi si furono trasformati in un animato chiacchiericcio.
«Aspetta» rispose Jet, mentre gli altri si voltavano verso l’improvvisato fotografo, che li stava già inquadrando con il proprio cellulare. Passò un braccio attorno alla vita di Nicky, in piedi al suo fianco, e la sollevò tra le braccia. «Ora.»
La foto venne scattata.
«Tutti insieme appassionatamente» commentò Jaime Travis, riappoggiando a terra una Nicole Kelly sorridente. «Basta che non mi chiediate mai di cantare tra i pascoli come Julie Andrews.»
FINE… PER ORA