RARE Roma 2018 – Io c’ero

Le donne che scrivono e leggono rosa? Smart, giramondo e social

 

In questi ultimi dieci anni ho partecipato a tantissimi incontri sul tema scrittura ed editoria, dal Women’s Fiction Festival di Matera alla Vie en Rose, alle presentazioni e tavole rotonde organizzate al Salone del Libro di Torino, a Tempo di Libri e BookCity a Milano. In una di queste occasioni chiesi a un panel di editor di varie case editrici come sapessero che cosa i loro lettori e le loro lettrici cercassero, che cosa amassero leggere. Deformazione professionale visto che, oltre a scrivere, lavoro come interprete e traduttrice nelle ricerche di mercato. La risposta fu da un lato ovvia, quasi scontata, dall’altro agghiacciante: dalle classifiche di vendita.

Ora, se le case editrici e chi lavora nel settore avessero voluto capire che cos’è il romance, che cosa lo muove e che cosa questo genere sa muovere, sarebbe bastato loro partecipare al più recente RARE, il primo tenutosi in Italia, a Roma, lo scorso 23 giugno. Con 35 euro si sarebbero aggiudicati una ricerca qualitativa sul tema. Che dico? Visti i numeri (quasi ottocento biglietti venduti per incontrare più di settanta autrici di romance), quasi una ricerca quantitativa. Avrebbero avuto una serata e una giornata intera per studiare tendenze, parlare con autori (sì, c’era anche un uomo), blogger e lettrici. Una miniera quasi gratuita di informazioni.

Certo, per attingervi sarebbe stato necessario lasciare fuori qualsiasi preconcetto ed entrare con occhi e orecchie aperti, meglio se con una almeno discreta conoscenza della lingua inglese, così da evitare errori-orrori come il trasformare una frase semplice come “I had never read a romance novel before Fifty Shades of Grey” in “Non avevo mai letto un libro prima delle Cinquanta sfumature”. Molte lettrici di romance leggono anche in inglese, si sarebbero prestate volentieri a dare una mano nella traduzione.

Forse non è neanche necessario specificarlo, visto che la stragrande maggioranza delle autrici a Roma era straniera, ma partecipare come autrice o come lettrice al RARE significa partecipare a un evento internazionale. Il RARE non è un ghetto, non è “d’antan”, è “global”. Da quando è nato nel 2014 gira l’Europa, non ha confini di stato, classe o credo (non abbiamo bisogno di conoscere la fede religiosa di Amy Harmon per leggerla e apprezzarla).

RARE, ormai lo saprete tutti, sta per Romance Author and Reader Events, ovvero incontri tra autori e lettori di romance. Diciamo spesso che la rete e i social hanno cambiato, sovvertito il rapporto tra scrittore e lettore. Dove un tempo lo scrittore era una figura solitaria, un po’ misteriosa, raggiungibile (forse, e perlopiù unilateralmente) solo attraverso una lettera alla sua casa editrice, oggi il rapporto tra molti autori e i loro lettori è diventato diretto, senza filtri e senza intermediari. Sui social noi autori, chi più, chi meno, interagiamo con i nostri lettori. Ci alimentiamo (nel mio caso almeno è così) del loro feedback e del loro affetto. Convention come il RARE offrono a questi rapporti virtuali un luogo e un’occasione di incontro reale.

E lì inizia la meraviglia. Perché puoi finalmente dare una voce a un volto visto fino a quel momento solo in fotografia, sentirne le mille sfaccettature che te lo rendono ancora più caro. Perché l’era dei social diventa terreno fertile per un nuovo modo di scoprire affinità elettive, nascono e crescono amicizie proprio perché si scopre che ci piace leggere le stesse cose.

Così, al tavolo su cui io e la mia favolosa assistente (la mia quasi sedicenne primogenita, che sono felice di aver portato a respirare quell’atmosfera e orgogliosa di come ha mostrato di esserne galvanizzata) avevamo disposto i miei libri, qualche gadget e un roll-up alto due metri, tutto opera del talento grafico di Federica de Selby, spesso e volentieri le persone si avvicinavano presentandosi proprio come “amica di” qualcuno. Del resto, il passaparola è una dinamica talmente forte che il termine è finito persino sulle altisonanti fascette dei libri.

La sala principale era immensa, percorsa in continuazione da donne (e qualche uomo) che si tiravano dietro il loro trolley. La loro espressione però era eccitata, estatica, non tesa o stressata come chi deve acchiappare un treno o un aereo. Perché i viaggi offerti dai libri sono tutto relax, tutto benefici e sensazioni piacevoli, poca spesa e niente stress. E quelli proposti dal romance in particolare hanno un potere quasi terapeutico, ci fanno stare bene – sono feel-good, come dicono nel mondo anglosassone. E stare bene è un sacrosanto diritto di ogni essere umano, uomo o donna che sia.

Il mondo del romance, così come lo percepisco quando scrivo, quando interagisco con le mie lettrici e come l’ho visto e sentito nelle sale del RARE, vibra, palpita, ride e si diverte, piange anche, per poi consolarsi, esplora mondi diversi, passati, futuri e fantastici, trattiene il fiato quando segue i fili adrenalinici della suspense e poi viene investito di sollievo; il mondo del romance ha tantissime sfumature, tante quante la miriade di emozioni che abitano le sue pagine.

Il suo nemico non sono gli uomini, testimoni un po’ sopraffatti ma anche divertiti della kermesse (ho ancora in mente l’espressione dei due mariti che sono passati a farmi firmare lo scrapbook dell’evento dicendomi, con fare cospiratore, “Siamo in missione”), pazienti baby-sitter o trasportatori di valigie piene di libri. No, il nemico del romance è chi lo riduce a qualcosa “per donne”, pertanto da guardare dall’alto in basso, a dispetto del fatto che le donne in Italia (forse ovunque) leggono più degli uomini. Il suo nemico è chi lo guarda come qualcosa di popolare, quindi non culturale, dimenticandosi che tanta della nostra cultura di oggi era popolare, nell’epoca in cui nacque. Queste persone dimenticano, o forse non sanno, che Dickens e Swift pubblicavano i loro romanzi a puntate sui giornali. O che, alla fine del Cinquecento, si creavano ingorghi pazzeschi attorno all’unico ponte che collegava Londra alla riva destra del Tamigi, dove sorgevano i teatri aborriti dai Puritani, perché il popolo, tutte le classi sociali, dai nobili ai poveracci alle prostitute, voleva assistere alle rappresentazioni anche di quel William Shakespeare che, in quanto azionista del suo teatro, ambiva a riempirlo con i suoi plays. Attenzione, dunque, a tirare linee arbitrarie e invalicabili tra ciò che è cultura e ciò che non lo è.

Credo che il nemico del romance sia anche chi non è o non vuole essere in contatto con quelle emozioni che caratterizzano e impregnano questo più di altri generi. E la cosa più triste è che spesso questo tipo di persone sono donne che sembrano volersi sforzare di pensare, parlare e agire come degli uomini, quasi volessero convincere tutti che possono stare al loro passo, parlare la loro lingua. Un errore, perché noi e gli uomini possiamo certo andare alla stessa velocità ma camminiamo con passo diverso – e meno male, perché c’è ricchezza in questa diversità.

Il romance è democratico, perché arriva a tutti. È moderno ed emancipato, perché non si vergogna di dire che è scritto (soprattutto) dalle donne per le donne e perché invita le donne a interrompere le loro giornate piene, frenetiche, multi-tasking per prendersi del tempo per sé – un po’ come la partita di calcio per molti uomini, insomma.

Il romance non pretende di fare cultura, offre intrattenimento. Ma per farlo attinge a piene mani alla psicologia (ho scoperto che cosa sia un narcisista non da un volume universitario ma da un romanzo di Lisa Kleypas), può affrontare (e spesso lo fa) temi attuali e scottanti quali la violenza di genere, talvolta racconta traumi e il loro superamento, ma senza dimenticare una leggerezza che rende il tutto più fruibile. Come una lezione tenuta non da un professore palloso ma da uno ironico e coinvolgente, insomma. Inserendosi in una tradizione antica di story-telling, il romance affonda le mani nella vita reale e si diverte a darle quel lieto fine che troppo spesso in essa non troviamo.

Non sarà tutto, ma scusate se è poco.